DRIBBLING DALL’EGITTO A GERUSALEMME

 

 

 

Sin da ragazzo la mia passione è sempre stata il calcio. Qualsiasi forma sferica che trovavo per le strade lungo il mio passaggio, mi stimolava a tirare e a calciare cercando di imitare i grandi campioni degli anni settanta che per tutti noi erano dei veri miti nelle grandi imprese  che mettevano a segno.

Quando cominciai a frequentare la parrocchia vicino casa mia mi ci trovavo bene, perché il parroco mi lasciava giocare, ma ancora più interessante  fu quando decisi di accogliere l’invito del parroco di passare un breve periodo al seminario del Cairo.

Quando arrivai a destinazione, trovai che mi aspettava anche un bel campo da gioco, e per me quello era il luogo ideale, un luogo prediletto poiché potevo sfogare tutto il mio desiderio di calciare il pallone e di giocare infinite partite con i compagni.

E così il pallone divenne uno strumento importante, che poco alla volta mi condusse lungo il cammino della mia conversione sino alla decisione di rimanere in seminario.

 

A distanza di parecchi anni, come un flash back mi ritornano in mente le interminabili  partite disputate in quegli anni, e il ricordo della gioia dell’esultanza mi invadono ancora facendo nascere in me il desiderio di giocare, ma soprattutto emerge la consapevolezza che devo creare la possibilità di gioco anche per tutti i miei piccoli parrocchiani, nella situazione in cui viviamo a Gerusalemme nella città vecchia che è sempre più a rischio per i piccoli. Ma oltre alle situazioni limiti e di gravi disagi che si vivono dentro la città, bisogna tenere presente che qui a Gerusalemme, noi cristiani siamo una piccola minoranza tra ebrei e musulmani e i  nostri bambini in Terra Santa, sono i protagonisti inconsapevoli, che vivono nel cuore del conflitto mediorientale.

 

 

La città di Gerusalemme è separata dalle città palestinesi, dalla costruzione del muro che sta dividendo famiglie, separando abitazioni dalle scuole, dagli ospedali, dalla parrocchia. Tanti bambini hanno parecchie difficoltà a raggiungere la loro scuola e tanti giovani non possono più frequentare l’università. Ciò non consente di poter intensificare le relazioni di amicizia anche fra i bambini per l’impossibilità di ritrovarsi.

La situazione economica è molto grave. L’incessante disoccupazione ha causato molta povertà nelle famiglie. I bambini, sono i primi a risentire di un disagio psicologico nella crescita per il clima di tensione e di paura  che si percepisce.

Il problema della droga è enorme soprattutto nella Città Vecchia. Preoccupante, secondo gli ultimi rilevamenti l’età di chi fa uso di sostanze stupefacenti, si è abbassato alla soglia dei ragazzi di 14-15 anni. 

Nel contesto del conflitto mediorientale, dove i nostri bambini vivono, in un microcosmo religioso ed etnico,  diventa importante costruire nuovi itinerari che aprano ed educhino alla conoscenza e al dialogo nel rispetto della propria religione e provenienza.

Essi sono i “messaggi viventi”, i frutti della pace e dell’amore, sono i nostri ambasciatori per il futuro.

 Ecco perchè nasce Bambini senza confini, perché lo sport

 può attivarsi a sostegno della pace . Il rispetto e lo sviluppo della vita umana, che sono a fondamento anche dei principi etici dello sport, richiedono la pace. La fratellanza dei popoli e la parità tra i diversi sono patrimonio insostenibile dello sport, che merita di essere difeso da tutti.

Il sistema sportivo può impegnarsi maggiormente ad educare, tutte le persone che gravitano attorno allo sport, al rispetto e alla stima reciproca, affinché si possa giungere a una solida coesistenza pacifica e solidale fra i membri delle varie etnie, culture e religioni diverse; condizioni primarie di una pace autentica.

Il gioco e lo Sport, permettono ai bambini di trascorrere un’infanzia ricca di sogni e di spensieratezza in modo tale che possano crescere con serenità e gioia. Attraverso l’attività sportiva intendiamo promuovere la pace.

Le gare di football o di basket, la competizione con gli avversari educa i nostri bambini al rispetto reciproco, alla collettività, all’impegno costante e a coltivare nuove amicizie protese ad aprirsi al dialogo.

Oggi nella scuola di calcio di Bambini senza confini si contano più di trecento iscritti e tra questi 25 ragazzi sono stati scelti per presenziare al loro primo torneo, fuori dalla terra santa.

 

Roni, Tawfik, George, Said, Daniel, Patrick, Michael,  Micheline, Yazan , Emile, Jossef, Nadim, Hanna, Rani, Philip, Kamis, Basil, Alex, Fadi, Daniel, Jeries, Khader, Anton, Daniel, George, sono stati scelti a rappresentare la prima squadra del progetto Bambini senza confini sbarcata in Italia, per partecipare ad un torneo amichevole disputatosi sabato 14 giugno presso i campi di calcio del centro sportivo dell’oratorio di Vimercate in provincia di Milano. E’ stata la prima esperienza di questi bambini e

Si sono disputate diverse partite per la classifica, divisa in due fasce di età diversa:

la prima formazione dei ragazzi più grandi, alcuni provenienti da Beit Hanina, altri dalla città vecchia che si sono classificati al quinto posto, trovando il grande ostacolo di dover giocare in un campo di erba, ma che hanno lottato ed hanno anche segnato parecchi goal, incitati costantemente da Rami ed Joseph, che come autentici coach davano loro indicazioni di gioco, naturalmente in arabo incuriosendo tutti i presenti.

 

La squadra dei più piccoli, ha stupito tutti gli spettatori,per il gioco di squadra che hanno messo in campo, per tanti goal segnati, per la determinazione  che mettevano a voler vincere, per qualche piccolo giocatore che riusciva a portare la palla al piede da un estremo del campo all’altro, dribblando da campione,  e per la bella presenza dell’unica “portiera” Micheline, che ha riscosso gli applausi di molti, poichè  più volte  i suoi interventi sono stati decisivi. Si sono classificati al secondo posto ai calci di rigore.

I volti dei ragazzi erano un po’ tristi e delusi per la classifica, ma al momento della premiazione si è elevato un lungo applauso per loro, veramente meritato, che ha fatto risplendere il sorriso nei loro volti.

Al termine della lunga giornata dedicata, solo ed esclusivamente allo sport, tutti stanchi,  ma soddisfatti si sono dati appuntamento a Gerusalemme, per disputare il torneo di ritorno! Un percorso verso la pace con il cuore nel pallone!

 

“Credo che dentro di noi ci sia un bambino che in determinati momenti ha bisogno degli altri accanto per avere un appoggio, un consiglio, o soltanto una presenza rassicurante.

Per insegnare ai nostri bambini il volto della pace, dell’amore, del rispetto, della coesistenza e della cooperazione dobbiamo lavorare affinché siano abbattuti i confini che nascondono la bellezza di quel bambino che vive profondamente all'interno delle nostre anime”.

 

Fra. Ibrahim Faltas (Ofm)